500 grammi
La frisella (o frisa), è un tarallo di grano duro (ma anche orzo o in combinazione secondo varie proporzioni) cotto al forno, tagliato a metà in senso orizzontale e fatto biscottare nuovamente in forno. Ne consegue che essa presenta una faccia porosa e una compatta. Importante è distinguere tra la frisa e il pane: la frisa infatti non è un pane, in quanto è cotto due volte. L’impasto, ottenuto dalla lievitazione di farina di grano o orzo con acqua, sale e lievito, viene lavorato a mano per renderne omogenea la struttura e tagliato nella pezzatura desiderata secondo la tradizione locale e lavorato fino alla forma di una losanga. Con un preciso gesto si premono le quattro punte delle dita perfettamente allineate lungo l’asse della losanga determinando lungo l’asse principale una riduzione dello spessore, che agevolerà lo spacco successivo. La losanga ottenuta viene arrotolata su sé stessa in una breve forma a spirale con piccolo foro centrale e successivamente infornata a contatto con altri pezzi, in piccole palettate di sei-otto forme. Dopo la prima cottura la singola forma, ancora calda, viene tagliata con un filo (“a strozzo”) sul piano mediano orizzontale lasciando sulla faccia dello scorrimento dello spago la caratteristica superficie irregolare. due pezzi ottenuti, quello inferiore col fondo piatto e quello superiore con il dorso curvo, si cuociono nuovamente in forno per eliminare l’umidità residua della pasta. La frisa viene conservata in contenitori di creta per preservala dall’umidità e favorirne la conservazione. Le friselle di pezzature maggiore, per effetto delle lavorazioni precedenti la cottura, all’atto della bagnatura (sponzatura[3]) si dividono quasi naturalmente in due parti: quella superiore più morbida in corrispondenza della faccia dello spacco e quella del fondo più dura; è usanza servirle già nel piatto divise per facilitarne il condimento. Le friselle di pezzatura minore si bagnano e si condiscono intere. La pezzatura della singola frisella, in passato, corrispondeva alla porzione di pane necessaria al regime alimentare di un lavoratore addetto a lavori pesanti e spesso costituiva l’intero apporto calorico del pasto. Prodotta principalmente in Puglia (dove viene chiamata friseddhra, fresella, frisa, friseddha, spaccatella o spaccatedd’ nelle varie varianti pugliesi), la frisella è anche molto diffusa in Campania, dove prende il nome di fresella, in Basilicata chiamata fresa o frisedda e in Calabria con il nome di fresa. Per gustarla si bagna in acqua fredda per un tempo che dipende dal gusto individuale e dalla consistenza della pasta cotta. Quindi si condisce, con pomodoro fresco, origano, sale e un filo d’olio extravergine d’oliva. Come variante si può strofinare uno spicchio di aglio sulla frisa prima di bagnarla, si può aggiungere del peperoncino, del barattiere o del carosello.
La frisella (o frisa), è un tarallo di grano duro (ma anche orzo o in combinazione secondo varie proporzioni) cotto al forno, tagliato a metà in senso orizzontale e fatto biscottare nuovamente in forno. Ne consegue che essa presenta una faccia porosa e una compatta. Importante è distinguere tra la frisa e il pane: la frisa infatti non è un pane, in quanto è cotto due volte. L’impasto, ottenuto dalla lievitazione di farina di grano o orzo con acqua, sale e lievito, viene lavorato a mano per renderne omogenea la struttura e tagliato nella pezzatura desiderata secondo la tradizione locale e lavorato fino alla forma di una losanga. Con un preciso gesto si premono le quattro punte delle dita perfettamente allineate lungo l’asse della losanga determinando lungo l’asse principale una riduzione dello spessore, che agevolerà lo spacco successivo. La losanga ottenuta viene arrotolata su sé stessa in una breve forma a spirale con piccolo foro centrale e successivamente infornata a contatto con altri pezzi, in piccole palettate di sei-otto forme. Dopo la prima cottura la singola forma, ancora calda, viene tagliata con un filo (“a strozzo”) sul piano mediano orizzontale lasciando sulla faccia dello scorrimento dello spago la caratteristica superficie irregolare. due pezzi ottenuti, quello inferiore col fondo piatto e quello superiore con il dorso curvo, si cuociono nuovamente in forno per eliminare l’umidità residua della pasta. La frisa viene conservata in contenitori di creta per preservala dall’umidità e favorirne la conservazione. Le friselle di pezzature maggiore, per effetto delle lavorazioni precedenti la cottura, all’atto della bagnatura (sponzatura[3]) si dividono quasi naturalmente in due parti: quella superiore più morbida in corrispondenza della faccia dello spacco e quella del fondo più dura; è usanza servirle già nel piatto divise per facilitarne il condimento. Le friselle di pezzatura minore si bagnano e si condiscono intere. La pezzatura della singola frisella, in passato, corrispondeva alla porzione di pane necessaria al regime alimentare di un lavoratore addetto a lavori pesanti e spesso costituiva l’intero apporto calorico del pasto. Prodotta principalmente in Puglia (dove viene chiamata friseddhra, fresella, frisa, friseddha, spaccatella o spaccatedd’ nelle varie varianti pugliesi), la frisella è anche molto diffusa in Campania, dove prende il nome di fresella, in Basilicata chiamata fresa o frisedda e in Calabria con il nome di fresa. Per gustarla si bagna in acqua fredda per un tempo che dipende dal gusto individuale e dalla consistenza della pasta cotta. Quindi si condisce, con pomodoro fresco, origano, sale e un filo d’olio extravergine d’oliva. Come variante si può strofinare uno spicchio di aglio sulla frisa prima di bagnarla, si può aggiungere del peperoncino, del barattiere o del carosello.
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ALLERGENI ALIMENTARI
Ecco la tabella dei 14 allergeni alimentari:
Glutine | cereali, grano, segale, orzo, avena, farro, kamut, inclusi ibridati e derivati | |
Crostacei e derivati | sia quelli marini che d’acqua dolce: gamberi, scampi, aragoste, granchi, paguri e simili | |
Uova e derivati | tutti i prodotti composti con uova, anche in parte minima. Tra le più comuni: maionese, frittata, emulsionanti, pasta all’uovo, biscotti e torte anche salate, gelati e creme ecc | |
Pesce e derivati | inclusi i derivati, cioè tutti quei prodotti alimentari che si compongono di pesce, anche se in piccole percentuali | |
Arachidi e derivati | snack confezionati, creme e condimenti in cui vi sia anche in piccole dosi | |
Soia e derivati | latte, tofu, spaghetti, etc. | |
Latte e derivati | yogurt, biscotti e torte, gelato e creme varie. Ogni prodotto in cui viene usato il latte | |
Frutta a guscio e derivati | tutti i prodotti che includono: mandorle, nocciole, noci comuni, noci di acagiù, noci pecan e del Brasile e Queensland, pistacchi | |
Sedano e derivati | presente in pezzi ma pure all’interno di preparati per zuppe, salse e concentrati vegetali | |
Senape e derivati | si può trovare nelle salse e nei condimenti, specie nella mostarda | |
Semi di sesamo e derivati | oltre ai semi interi usati per il pane, possiamo trovare tracce in alcuni tipi di farine | |
Anidride solforosa e solfiti in concentrazioni superiori a 10 mg/kg o 10 mg/l espressi come SO2 | usati come conservanti, possiamo trovarli in: conserve di prodotti ittici, in cibi sott’aceto, sott’olio e in salamoia, nelle marmellate, nell’aceto, nei funghi secchi e nelle bibite analcoliche e succhi di frutta | |
Lupino e derivati | presente ormai in molti cibi vegan, sotto forma di arrosti, salamini, farine e similari che hanno come base questo legume, ricco di proteine | |
Molluschi e derivati | canestrello, cannolicchio, capasanta, cuore, dattero di mare, fasolaro, garagolo, lumachino, cozza, murice, ostrica, patella, tartufo di mare, tellina e vongola etc. |